Riflessioni

Le esperienze conferiscono conoscenze, abilità, competenze, ma credo che il vero talento non lo si acquisisca con l’impegno e con il tempo.
Si è portatori della propria vocazione e unicità.
L’intelligenza cognitiva e emotiva si può allenare e amplificare, ma non la genialità.
L’arguzia intuitiva, quella, invece, o la si possiede o si può provare a cercarla all’infinito, ma sarà una ricerca vana ed estenuante, certi temperamenti creativi sono molto rari.
Per questo motivo è consigliabile, secondo me, scoprire le proprie personali doti che ci contraddistinguono e puntare e investire tutto su quelle, senza guardarsi intorno e senza lasciarci distrarre da altrui presunte virtù o prodezze.

Come scriveva Carl Gustav Jung:

“Il viaggio più difficile di un essere umano è quello che lo conduce dentro se stesso alla scoperta di chi veramente egli è.”

E poi …

L’unico viaggio da cui non si torna mai a mani vuote è quello dentro noi stessi.
Dentro non ci sono confini, né dazi, si può arrivare fino alle stelle più remote.
O visitare posti che ormai non ci sono più, andare a trovare persone scomparse.
Persino entrare in luoghi che non sono mai esistiti, e che forse non potrebbero esistere senza di noi. (Amos Oz – da “Una storia di amore e di tenebra)

E allora… Buon viaggio!

Vivo per te

Oggi, nel giorno del mio compleanno, facevo alcune riflessioni: pensavo che a volte sembra incredibile, ma alcuni sogni si avverano…

Prima di parlarvi del mio sogno però occorre che vi faccia una piccola premessa per farvi capire meglio.

I legami familiari sono sicuramente quelli che ci identificano di più e che ci forniscono dei modelli a cui spesso ci ritroviamo a fare riferimento. Essi ci forgiano in qualche modo e finiscono con l’influenzarci, per il resto della nostra vita, anche inconsapevolmente.

Non è il caso che vi annoi con la teoria dell’attaccamento di J. Bowlby, uno dei pilastri della psicologia dello sviluppo del ventesimo secolo, il quale sosteneva che “l’attaccamento è parte integrante del comportamento umano dalla culla alla tomba” (Bolwby, 1982).

Per saperne di più: https://www.stateofmind.it/2017/07/john-bowlby-attaccamento/

Nella sua teoria dell’attaccamento, Bowlby intuì come questo rivesta un ruolo centrale nell’individuo, influenzandone lo sviluppo della personalità. Egli ha illustrato i vari stili di attaccamento: sicuro, insicuro-evitante, insicuro-ansioso/ambivalente e disorientato/disorganizzato.

L’autore sottolinea, molto brevemente, l’importanza dei modelli operativi interni che si sviluppano in seguito alle primordiali relazioni di cura e di attaccamento che si instaurano con il caregiver.

Se un bimbo è abituato a respirare amore, un clima sereno in cui si sente sicuro e amato, un clima di rispetto reciproco sarà poi portato ad agire da adulto, rifacendosi alle sue memorie, ai ricordi delle esperienze ed emozioni vissute.

Viceversa, in presenza di situazioni traumatiche di abbandono, trascuratezza o, ancor peggio, di abuso, non svilupperà la giusta sicurezza in se stesso e mancherà, come minimo, la fiducia nell’altro. L’affidarsi diventerà molto difficile se non impossibile e vi sarà il rischio di riprodurre gli stessi modelli, stavolta negativi, disadattivi, disfunzionali.

La costruzione di ogni legame, di ogni rapporto che ci troviamo a intraprendere sarà di certo influenzata dalle nostre prime esperienze di vita, tra queste sono fondamentali quelle familiari, ma anche quelle con i compagni di scuola, gli amici e tutte queste non agiranno come un marchio, ma daranno, per così dire, una prima impronta e sarà poi il contesto in cui ci si trova ad agire ad essere determinante con tutte le varianti del caso.

Quindi soffermiamoci un attimo ai legami familiari, al valore che ognuno di noi gli riserva. Tali legami sono sicuramente significativi. Ogni famiglia assume i propri valori e li trasmette ai figli seguendo le proprie regole e i propri stili educativi.

La mia famiglia mi ha trasmesso tanto amore, mi ha insegnato il rispetto per gli altri, l’onestà, mi ha insegnato che con l’impegno e la perseveranza si possono raggiungere molti traguardi, pur restando umili e riuscendo ad apprezzare la bellezza dei piccoli gesti e delle gioie che la vita ci riserva.

Purtroppo la vita non ci riserva però solo gioie e alla mia famiglia son toccate anche tante sofferenze, ma questa è la vita!

Il corso degli eventi, per me è mutato con la morte di mio padre, il quale a causa di una malattia ci ha lasciati prematuramente. Il suo corpo ci ha lasciati, anche se lui ha continuato a vivere accanto a noi, accompagnandoci e guidandoci, ma soprattutto lui vive in noi, sicuramente, noi figli abbiamo ereditato parte del suo patrimonio genetico, ma ci ha lasciato in eredità molto di più.

Chi conosceva mio padre conserva dei ricordi piacevoli di lui, molti lo descrivono come una persona allegra, socievole, sempre disponibile ad aiutare gli altri, un uomo umile e onesto.

Avendolo conosciuto poco (avevo solo 13 anni quando ci lasciò) ho sempre conservato una certa curiosità su di lui. Ho sempre cercato di raccogliere molte notizie che lo riguardavano: una sete di conoscenza che mi portava a frugare tra i cassetti di mia madre, dove lei custodiva gelosamente le poesie e le lettere che scriveva per lei.

Ricordo che passavo ore o ore a leggerle e sembrava di vederlo, me lo raffiguravo davanti il mio papà, giovane e innamorato: un “grande romanticone!” lui. Lo è sempre stato, portava sempre i fiori a mamma. Sembravano due eterni fidanzatini.

Un giorno, durante le mie perlustrazioni, scoprii insieme alle poesie uno spartito e un testo di una canzone.

Ah che scoperta!

Rimasi incantata, chiesi subito maggiori informazioni a mia madre. Io potevo essere poco più che ragazzina. Avrò avuto 15/16 anni, non ricordo esattamente, ma quella fu una scoperta che restò per me sorprendente: mio padre, insieme ad un suo amico, aveva scritto una canzone. Mio padre il testo e il suo amico la musica. L’aveva dedicata al suo amore, l’unico suo grande amore.

Peccato però perché il progetto non fu mai portato a termine.

Quando ti ritrovi a perdere il padre da piccola ti senti come se ti avessero strappato a vivo una parte di te, oltre al dolore per la perdita, la mancanza in sé, fisica, simbolica, di un pilastro fondante e fondamentale della tua famiglia ti viene sottratto un pezzo di vita, della tua vita, che non potrai più condividere con il caro congiunto prematuramente scomparso.

L’elaborazione del lutto è un processo lungo e tortuoso, si va avanti a tentativi, nulla appare più semplice e trasparente davanti a sé, come se da lì in poi tutto fosse filtrato da una sorta di lente opacizzante ed è come se ci si ritrovasse ad un tratto in una selva oscura, intrappolati in un dolore che incatena e pietrifica ed allora arriva la rabbia furiosa e più ci si agita per liberarsene, più ci si ferisce, così si prova a respingerlo, a respingere ogni emozione, si diventa come anestetizzati, ma non serve provare a scappare, esso ti seguirà ovunque come un’ombra e ci troverà, l’unico modo per sopravvivere è trovargli uno spazio, un luogo in cui abitare e dargli ascolto.

All’inizio arriveranno urla strazianti, a poco a poco l’intensità si affievolirà e il dolore reclamerà di essere ascoltato, ma in una forma nuova, più pacata, si finirà con il farselo amico, ci si imparerà a conoscersi un po’, poi sempre meglio, si diventerà all’inizio amici, amici inseparabili, poi sarà il momento di distanziarsi un po’, finché non si imparerà a lasciarlo a volte un po’ da solo in un angolino recondito, ma quando si sentirà trascurato tornerà a farsi sentire ancora intensamente, non ci si dimentica mai di lui, si impara a conoscerlo bene e a volergli persino bene.

Sì, perché ci si abitua a convivere con l’abitudine alla mancanza che sarà una nuova compagna di viaggio, come presenza costante di una amara assenza e allora che ci si chiede se vi sia scampo.

Non c’è più possibilità di ritrovare serenità e felicità?

La risposta è sì: si torna ad essere felici. Io sono tornata ad esserlo, anzi, per esperienza personale vi assicuro che le persone che per svariate ragioni, nella loro vita hanno sofferto tanto, imparano ad apprezzare di più il valore e l’importanza di ogni piccola gioia che gli riserva la vita.

La memoria, i ricordi di certi affetti così intensi, anche se bruscamente interrotti, non muoiono mai del tutto, anzi continuano a vivere, in maniera diversa in una nuova forma.

Io conservo ancora in maniera vivida molti ricordi di mio padre, li porto con me sempre, mi accompagnano, a volte ritrovo in me certi suoi aspetti e questo mi riscalda il cuore.

Tornando al mio sogno, ho sempre nutrito il desiderio di poter ascoltare un giorno le note di quello spartito, trovato lì per caso, conservato con cura per tantissimi anni.

Ebbene, qualche settimana fa, quasi per caso, ne parlai a un mio caro amico, musicista e compositore, Gianfranco Gioia (https://www.gianfrancogioia.it) il quale non esitò ad accogliere la mia richiesta. Nel giro di pochi giorni si mise subito a lavoro e vi preannuncio che a breve la canzone, dopo quasi 60 anni dalla sua composizione, prenderà vita, nuova vita.

Questo per me è stato un gradito e prezioso dono, perché è come mantenere in vita un’opera che ci ha tramandato mio padre. Le opere sopravvivono a noi. C’è una frase che mi viene in mente di Josè Samarago che prendo in prestito: “Penso che ognuno di noi sia, soprattutto, figlio delle proprie opere, di quel che va facendo mentre sta quaggiù”.

Quindi è come, per me, far rivivere mio padre, quella sua parte creativa, passionale che lo caratterizzava e lo rendeva davvero speciale.

Condivido con piacere con voi, per il momento, lo spartito e il testo della canzone e spero a breve di potervela anche fare ascoltare!

Ecco a voi:

“Vivo per te” di Domenico Aspresso e di Salvatore Siino

Vola solo chi osa farlo

è di ieri la notizia che il virus covid-19 ha provocato la morte dello scrittore cileno L.Sepulveda, autore del famoso libro “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”. Nel libro si parla di un gatto di nome Zorba che insegna a volare ad una Gabbinella di nome Fortunata, la quale imparerà a volare solo nel momento in cui riuscirà a sconfiggere la paura, la paura del vuoto, dell’incertezza e capirà che il segreto sta nel coraggio di osare, di cambiare.

Anche noi ci siamo ritrovati, in questo periodo di grave emergenza sanitaria, ad avere paura, catapultati in un mondo surreale, dove di colpo sono stati banditi ogni contatto fisico e sociale, una realtà diversa da quella che eravamo abituati a vivere, con nuovi ritmi e nuove regole. Tutto questo ci ha portati, inevitabilmente, a riflettere sull’importanza delle relazioni interpersonali e ci ha costretti a rivalutare il valore  e l’ordine delle nostre priorità.

La pandemia ci sta però insegnando anche a convivere con il senso dell’incertezza, abbiamo imparato che non tutto è sotto il nostro diretto controllo, siamo stati costretti a uscire dalle nostre zone di confort, rimboccarci le maniche e puntare a un nuovo cambiamento, un cambiamento di rotta, di prospettiva, per spiccare il volo dalle nostre paure, dai nostri limiti, abbiamo imparato che nessuno può farcela da solo, ci è venuto a mancare il contatto diretto con le persone, il confronto faccia a faccia e per quanto siamo riusciti, grazie alle nuove tecnologie, a restare connessi, abbiamo capito meglio il vero valore e la bellezza di un abbraccio, di uno sguardo, un sorriso.

Abbiamo capito, infine, che per spiccare il volo abbiamo bisogno, anche noi, come Fortunata, la gabbianella, di un incoraggiamento, una parola di conforto, di qualcuno che creda veramente in noi e ci dia il coraggio di lanciarci nel vuoto. Quel vuoto che è solo l’inizio di una nuova avventura, da colmare con nuove esperienze a cui dedicarsi.

Distanti ma vicini

Scambiandosi i loro pensieri, gli uomini comunicano come nei baci e gli abbracci; chi accoglie un pensiero non riceve qualcosa, ma qualcuno.  (Hugo von Hofmannsthal)

In questo momento così difficile, surreale, triste, potrebbe anche capitare di vivere momenti di sconforto, ma ci deve consolare il fatto di sapere che non siamo i soli a vivere queste emozioni, essere solidali è fondamentale, mantenendo i contatti con i nostri cari, nonostante la distanza fisica, potremo veramente continuare a prenderci cura l’uno dell’altro e le nostre paure e preoccupazioni sembreranno più lievi.

Importante è adesso mantenere la lucidità e la consapevolezza che si tratti di un periodo complicato, ma sicuramente passeggero, con tutte le ripercussioni e le ricadute naturalmente, a livello fisico, psicologico, economico, sociale, ma non sarà in eterno, è un terribile periodo, più o meno lungo, destinato in ogni caso a finire, come tutte le crisi, quindi, bisogna resistere, essere resilienti, non abbattersi e restare uniti e solidali.

#iorestoacasa #restiamouniti #distantimavicini